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Cappella di Palazzo Armano

Grosso Canavese
Barocco
Edificazione 
XVII secolo

Elementi storico-artistici

La prima testimonianza dell’esistenza di una cappella gentilizia attigua al palazzo di Grosso risale alla prima metà del Seicento. Nel 1618 il feudo – di proprietà della famiglia Cavalleri sin dal XIII secolo – è assegnato a seguito di un controverso processo a Claudio Curtet, primo cameriere del duca Vittorio Amedeo I di Savoia. Fra i miglioramenti apportati al complesso durante il suo possesso una relazione manoscritta – conservata in Archivio di Stato a Torino – ricorda la costruzione della cappella privata, posta sulla piazza e all’epoca separata dal palazzo da una strada. L’edificio era dedicato a san Vito: come risulta dalla Visita Pastorale che monsignor Giulio Cesare Bergera effettua a Grosso nel 1653, sull’altare si trovava una pala raffigurante La Madonna con il Bambino e i santi Vito, Modestio, Costanza e Claudio alla presenza del committente Claudio Curtet.
Appena due anni più tardi, tuttavia, l’aspetto della cappella muta radicalmente: Bernardino, Giovanni Battista e Giacomino Armano, figli di Sibilla Cavalleri – ultima erede del feudo di Grosso – dopo una lunga lite rientrano finalmente in possesso dei beni materni e nel 1655 danno il via a un imponente intervento di restauro che coinvolge sia il palazzo signorile che la cappella, ricostruiti “dalle fondamenta”, come precisa la lapide commemorativa apposta sulla facciata della cappella sopra il portale e ora esposta per ragioni conservative in controfacciata, a sinistra entrando.
L’aspetto attuale del palazzo – un vero e proprio castello posto al centro dell’abitato – risale dunque alla metà del Seicento, così come la definizione del cortile d’onore e dei giardini retrostanti: nell’appartamento di rappresentanza al primo piano si conserva un importante ciclo di affreschi con soggetti sacri e temi mitologici, realizzato da maestranze lombardo-luganesi nel sesto decennio del Seicento. Sulla piazza sorgevano invece gli edifici rustici, con i locali destinati alla servitù e al ricovero del raccolto.
Per la cappella privata, unita al palazzo dal muro di cinta prospiciente l’attuale piazza del Comune, i fratelli Armano commissionano una nuova pala d’altare, destinata a celebrare l’affermazione della famiglia e il rapporto privilegiato che la lega ai Savoia. In alto è la Santa Sindone, sostenuta dalla Vergine e dai santi Giovanni Battista (a sinistra) e Giuseppe (a destra); nella parte inferiore compaiono san Bernardino da Siena (a sinistra) e sant’Antonio da Padova (a destra), mentre sullo sfondo è riprodotto fedelmente il castello di Grosso, con la torre del ricetto ancora eretta al centro della corte (sarà poi demolita). In basso a sinistra è ben visibile il blasone dei committenti, uno scudo quadripartito di giallo e di rosso che reca al centro la foglia di canapa ed è sormontato dalla corona comitale: il titolo di conti di Grosso e Villanova, infatti, è concesso agli Armano dalla duchessa Cristina di Francia proprio in questi anni. Le figure rappresentate alludono direttamente ai santi patroni del committente e della sua famiglia: Bernardino Armano, con la moglie Maria Minelli e il figlio primogenito Giuseppe Antonio, oltre al fratello Giovanni Battista, medico.
La tela, che Augusto Cavallari Murat attribuiva a un allievo di Gugliemo Caccia detto Moncalvo, è stata giustamente accostata per via stilistica da Franco Gualano al pittore torinese Giovanni Bartolomeo Caravoglia (circa 1616-1691). Non è l’unica opera del pittore in Canavese, come provano i dipinti – più tardi – della parrocchiale di Front e di San Maurizio Canavese (Martirio di san Maurizio). Documenti inediti dell’archivio famigliare Armano permettono di precisare che il dipinto di Grosso era già pronto nel 1656, quando il capomastro Giorgio Casella – che si occupa di coordinare i lavori di ampliamento e decorazione nel palazzo di Grosso – è pagato per allestire il ponteggio al pittore, così che l’opera sia posta sull’altare.
La tela è una delle prove più riuscite di Caravoglia, per le cromie squillanti e i riferimenti in direzione emiliana e guercinesca che caratterizzano la sua produzione negli anni Cinquanta: si confronta in particolare con le opere di committenza ducale per la chiesa dei Cappuccini di Rivoli (1648, ora al Seminario di Torino) e alla Madonna degli Angeli a Torino (L’apparizione di Gesù bambino a sant’Antonio da Padova, 1653 circa). Sono questi gli anni di affermazione del pittore presso la nobiltà più legata ai duchi sabaudi, come attestano anche le due pale del Duomo torinese raffiguranti La Madonna con il Bambino e i santi Giovanni Battista, Michele, Filippo Neri e Francesco di Sales (1655, seconda cappella della navata destra) e La Madonna con il Bambino e i santi Ippolito e Cassiano (sesto decennio del Seicento, terza cappella della navata sinistra).
L’importanza assegnata alla Sindone fa dell’opera di Grosso una delle testimonianze più significative di questa devozione in Canavese, nelle terre in cui il sacro lino transitò durante il trasferimento da Chambery a Torino. Non è da escludere, inoltre, che proprio a Grosso la Sindone sia stata ricoverata durante i momenti di maggiore pericolo. Caravoglia dipingerà nuovamente la Sindone nella pala per il Santuario della Madonna delle Grazie a Saluzzo, la cui impostazione riprende quella della tela per gli Armano a Grosso.
L’aspetto della cappella, così come oggi la vediamo, risale in gran parte agli interventi di aggiornamento decorativo condotti nella seconda metà del Settecento, quando viene realizzata nelle attuali forme la piccola sacrestia, ricavata avanzando la parete dell’altare: quest’ultimo è riedificato e arricchito da ornati rococò, così come la tribuna dalla quale i conti potevano assistere privatamente alle funzioni, posta in fondo alla galleria di collegamento con l’appartamento al piano nobile. Fra Settecento e Ottocento sono costanti gli investimenti in suppellettile sacra, reliquie e paramenti: alcuni di questi arredi – come le mute di candelieri – sono tuttora visibili nell’ambiente. In controfacciata, a destra del portale entrando si trova un ritratto di ecclesiastico che raffigura con ogni probabilità Giacomino Armano, fratello di Bernardino e Giovanni Battista, canonico presso la Collegiata di Carmagnola. I restanti dipinti di soggetto sacro e la Via Crucis sono stati allestiti, con attenzione per il gusto originario dell’edificio, dall’attuale proprietà.
La cappella, dichiarata monumento d’interesse storico-artistico e vincolata nel 1926 con decreto ministeriale così come il palazzo, è tuttora consacrata.

Fonti d’archivio
- Archivio Arcivescovile di Torino, 7/1/10, Visita Pastorale Monsignor Bergera, 1653, f. 287v.
- Archivio di Stato di Torino, Camera dei Conti Piemonte, Archivi di famiglie, art. 603, Armano di Grosso.

Bibliografia
- A. Cavallari Murat, Lungo la Stura di Lanzo, Torino 1973, p. 190
- C. Cargnino – G.G. Massara, Testimonianze sindoniche in Haute Maurienne, nelle Valli di Lanzo e nella piana di Ciriè. Schede per un inventario, Lanzo Torinese 2000, pp. 13, 17
- F. Gualano, La pala d’altare della cappella sindonica del castello di Grosso Canavese, in Presenze sindoniche nelle Valli di Lanzo e nel Canavese, a cura di G. Scalva, Torino 2010, pp. 14-17

scheda a cura di Sara Martinetti
Altre opere d'arte 
Pala d’altare di Giovanni Bartolomeo Caravoglia (1656 circa); lapide marmorea (1655); ritratto del canonico Giacomino Armano (XVII secolo); altare e tribuna (XVIII secolo)
Il monumento in dettaglio 
Indirizzo 
Piazza IV Novembre
Gestione 
Proprietà privata - famiglia Alaria